Arte,  Craft World,  Digital art

Report 12 Ottobre 2023. Riflessioni

(foto di Terra Merhyem)

E’ andato tutto bene o quasi. Il quasi si riferisce al fatto che non è stato possibile collegarsi al server di streaming per effettuare la diretta, che è saltata. Peccato!
Per il resto, tutto bene, anzi molto bene.
Sono soddisfatta per il compimento di un’opera, il Museo, che definire grandiosa, rende bene l’idea di un luogo enorme e ricolmo di tanta creatività.
La serata inaugurale è stata quasi un ritorno al passato, anche se il cuore e la mente sono rivolti al futuro.
Più di cinquanta avatar presenti , fra i quali, amici che non vedevo da quindici anni, è stato esilarante ed emozionante, infatti la mia voce tremula ad un certo momento ha tradito l’intensa commozione provata.
E’ stato un grandissimo lavoro, portato avanti in primis da Laslo Orgogh (Velazquez Bonetto), quindi da Fiona Saiman e da me.
Rebecca Pedrazzi e Stefano Lazzari hano espresso parole appassionate nei confronti del Museo del Metaverso e dei suoi artisti, riempiendomi di felicità.

Foto di Eva Kraai

Mi fa piacere riportare le loro riflessioni, scritte per essere rese disponibili per il pubblico straniero, durante l’inaugurazione.

(Foto di Terra Merhyem)

Rebecca Pedrazzi scrive:

È un grande onore e un privilegio trovarmi qui oggi per celebrare l’inaugurazione dei nuovi spazi del Museo del Metaverso e ringrazio la fondatrice e direttrice Rosanna Galvani.
Oggi, mentre tagliamo il nastro virtuale della nuova sede espositiva è importante riflettere su due parole che a mio avviso sono necessari aggettivi e caratteristiche del MdM: “valore” e “valenza storica”.

I musei svolgono da sempre un ruolo cruciale nell’ecosistema culturale: sono luoghi che nutrono la creatività oltre che a promuovere la cultura e preservare il patrimonio artistico. In rl abbiamo quasi 5000 Musei in Italia – e il Museo del Metaverso come istituzione virtuale è un Unicum per la sua valenza storica. Dal 2007 con l’inaugurazione in Second Life, si è iniziato ad acquisire ed esporre opere d’arte digitali per raccontare le diverse realtà e culture digitali /artistiche che spesso appartengono ad una dimensione effimera.
Il valore di un museo è dettato in primis dalle sue opere ed è intrinsecamente legato alla sua mission e al suo ruolo nella società o nella comunità in cui è inserito. E qui incontriamo Rosanna Galvani che nelle sue pubblicazioni sulla storia di MdM scrive:
“La mia idea di museo è quella di un luogo in continua evoluzione, non solo uno spazio per la conservazione e l’esposizione, ma uno spazio vivo e fertile di idee, dove è possibile sperimentare e condividere esperienze con altri che lavorano nel mondo virtuale, nei campi dell’arte, dell’architettura, della musica, del teatro, cinema e letteratura.”

Quantomai necessario sottolineare che il Museo del Metaverso ha un ruolo importante non solo nella promozione ma anche nella conservazione delle opere d’arte digitali – tema ancora oggi non trattato accademicamente quando si parla di Metaverso, sebbene proprio una realtà come il MdM possa rappresentarne un esempio virtuoso e di successo.
Se l’arte digitale incontra il tema dell’effimero, l’arte digitale nel metaverso può essere anchetransitoria. Transitorio inteso come un passaggio spesso senza testimonianza – mostre senza cataloghi, presentazioni senza foto e video. Gli ambienti virtuali possono essere creati e distrutti rapidamente, e le opere d’arte possono esistere solo per un breve periodo.
Fugacità, mutevolezza, obsolescenza sono temi su cui il dibattito è aperto nel digitale.
Il metaverso è stato popolato fin dai primi giorni anche dagli artisti che nel virtuale si sono espressi attraverso l’arte tra porte di mostre temporanee aperte e dissolte tra i pixel e artwork appesi in strutture sempre in evoluzione. Ma se l’arte nei mondi virtuali può essere transitoria è sempre e comunque una testimonianza tangibile della nostra identità culturale e che deve essere valorizzata, tutelata, e possibilmente fruita nel tempo per non perderne la sua storicità e la sua identità.
In questo museo troviamo la storia di una dimensione artistica nativa digitale che abbraccia il racconto di tanti e diversi artisti – e movimenti artistici – che nel tempo hanno sperimentato le innovazioni e nuove opportunità tecnologiche. Dalle fotografie di Marco Carioli nel metaverso che ci raccontano la “nuda Land” come suggerisce Stefano Lazzari – e che aprono anche il tema della fotografia nel metaverso come espressione artistica – alla Torre di Asian di Fabio Fornasari che ci porta letteralmente ad immergerci in una dimensione di fruizione ed esperienza virtuale. E ancora: dai pionieri artisti in Second Life all’AI Ar con le opere di Fiona Saiman che ci accompagna a
scoprire non solo artworks ma anche una installazione di figure realizzata con le AI Generative.

MdM è un faro per la creatività artistica, per l’arte virtuale che trova oggi una nuova sede qui in Craft – e le sue architetture sono esse stesse espressioni artistiche.


 

    (Foto di Terra Merhyem)

    Stefano Lazzari riflette sul silenzio dell’arte ai margini del sistema

    Il silenzio dell’arte ai margini del sistema è un problema generalizzato. Nonostante la fiammata intensissima del fenomeno NFT, che ha visto nascere speranze e interesse fra gli artisti e le organizzazioni e istituzioni che li sostengono al di fuori dei circuiti mainstream, oggi anche questo modello alla fin fine è stato prontamente assorbito dallo stesso sistema di cui voleva essere la nemesi, il concorrente. Ma al di la delle questioni del mercato, l’arte ha bisogno di più ampi territori d’espressione, di spazi aperti, nuovi, sperimentali, incuranti dei formalismi, capaci di assorbire anche errori e passi falsi senza per questo perdere l’entusiasmo , l’integrità e l’energia proprie di tutte le realtà che vivendo ai bordi del sistema, fanno di necessità virtù, lavorano sulla volontà e non sul profitto ( che servirebbe a loro più di ogni altra cosa!), generosi collezionisti capitalizzatori di creatività e di invenzione.
    E proprio in quest’ultimo aspetto riconosco il loro maggiore merito, la capacità di conservare e promuovere nella lunga durata, le opere native dei margini.

    Pare dunque perfetto questo Museo del Metaverso, per raccontare una storia di stabilità e permanenza e servizio per l’arte in quella che pare il più mobile e inconsistente dei margini, l’immateriale metaverso.
    Prima di tutto, vorrei chiarire un punto: amo i margini perché territori dell’indifferenziato e dunque della creatività. Dei paesaggi marginali le più belle parole le ha spese Gilles Clément, giardiniere, filosofo, paesaggista, agronomo, che nel suo saggio “Manifesto del Terzo paesaggio” così li descrive:

    “Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati dalle coltivazioni, là dove le macchine non passano. Copre superfici di dimensioni modeste, disperse, come gli angoli perduti di un campo; vaste e unitarie, come le torbiere, le lande e certe aree abbandonate in seguito a una dismissione recente.

    Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata. Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo paesaggio, terzo termine di un’analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro.”

    Possiamo ben dire che il metaverso ha molte di queste caratteristiche, sia dal punto di vista formale, delle tecnologie in continua evoluzione, sia dal punto di vista dei punti comuni: territori di rifugio per la diversità creativa.

    Ebbene, all’interno di questa diversità c’è una cultura una intera società endogena, nativa, che si riconosce proprio in questi territori, una comunità residente ( e uso questo termine a ragione, perché i pionieri dei mondi virtuali si riconoscevano come tali, abitanti e non visitatori, cittadini e non utenti), transnazionale, multiculturale, multigenerazionale e migrante tra le piattaforme del metaverso che ha costruito la sua identità, la sua estetica, la sua arte, capace però proprio per la sua diversità, di accogliere ogni istanza, ogni sperimentazione.

    Che arte è quella del metaverso? Dapprima potremmo definirla un’arte dello stupore, tutta intenta a rappresentare e sperimentare la materia e il colore a disposizione, spremendo quanto possibile il massimo dalle risorse esistenti, raffinandosi via via, integrando l’espressività di tecniche che avremmo detto “miste”, l’elaborazione con editor grafici, l’importazione di textures e di mesh grafiche, glitch e illuminazioni sofisticate e per ultimo, in ordine di tempo, l’intelligenza artificiale.
    Le contaminazioni sono tante, gli intrecci tra arte dei mondi reali e virtuali scoprono sempre più terreni comuni, e sempre altri se ne trovano.

    Oggi siamo qui a testimoniare e a dare voce all’arte del metaverso rappresentata in questo museo, che ne è il custode e lo storico.
    Arte del metaverso che, per quanto giovane, è ben più antica di ogni narrazione che vede l’anno zero nella “dichiarazione di Zukemberg” l’anno zero di Meta e dunque dell’insieme tutto della virtualità, e in questo operando una rimozione miope e censoria di vent’anni di comunità virtuali. Un lavoro costante, metodico e umile, come tutte le cose durevoli della vita. E dunque ai miei occhi, entusiasmante.
    Il Museo del metaverso non merita una, ma molte voci, tutte le voci possibili perché venga conosciuto e valorizzato per quello che è: una delle testimonianze della creatività e dell’arte nativa digitale, la cui vita e tutta qui, in una stringa di byte scritti su un disco popolato di persone.


     

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