Cultura

“La filosofia e i suoi volti: un ricordo dal Liceo Classico”

C’era un tempo in cui il Liceo Classico era un luogo esigente, quasi austero. Una scuola che formava caratteri oltre che menti, e che ci metteva a confronto, giorno dopo giorno, con la fatica della conoscenza. Lì ho ottenuto la mia Maturità Classica, quando il latino e il greco erano ancora lingue da vivere con il rigore e la passione che meritano. E lì ho incontrato, attraverso due professori molto diversi, due modi di intendere la filosofia – e forse anche la vita.

Il primo insegnante era uomo tutto d’un pezzo. Entrava in classe e si respirava un’aria di attesa tesa. La prima mezz’ora spiegava, la seconda interrogava. Quando apriva il registro, il sangue si gelava. L’ordine era imprescindibile, l’autorità mai messa in discussione. Utilizzavamo l’Abbagnano, un testo solido, ma severo, che ci restituiva i filosofi come statue immote, prive quasi di vita vissuta. La filosofia, in quell’aula, era soprattutto studio e disciplina. Forse anche paura. E così, in quella fase, ho faticato ad amare davvero la materia.

Poi è arrivato un altro professore, un uomo di tutt’altra pasta. Socievole, aperto, appassionato. Parlava con noi, non sopra di noi. Ricordo con gratitudine come ci abbia accompagnati alla Maturità con una ricerca monografica, ricevendoci ogni pomeriggio a casa sua. Quella fiducia, quella vicinanza, sono state per me rivelatrici. Con lui, la filosofia è diventata uno strumento per pensare, per cercare, per porre domande vere. Abbandonammo l’Abbagnano per il Geymonat, un testo più moderno, più vicino alla nostra sensibilità di giovani in fermento.

Erano gli anni a cavallo fra il ’68 e gli anni 70. Tempi di slogan e di speranza, di cortei e discussioni infinite. In quel clima, Sant’Agostino ci pareva reazionario – e non mancavano le letture ideologiche, a volte sommarie, ma sempre animate da una voglia autentica di capire e di cambiare il mondo. Studiavamo Marx, Gramsci, Sartre, Marcuse. Ma anche Platone e Aristotele, riletti alla luce di ciò che accadeva fuori dalla scuola, nelle piazze, nei collettivi, nelle nostre stesse vite.

Oggi, mentre rifletto su quei ricordi, mi accorgo di quanto la filosofia sia fatta anche di corpi e di voci, di incontri e di relazioni umane. È una materia che può essere resa sterile oppure illuminata, a seconda di chi la insegna e di come la si vive. È una disciplina che ti accompagna per sempre, anche quando non te ne accorgi: nello sguardo che posi sul mondo, nella domanda che ti resta dentro, nella capacità di dubitare, di scegliere, di essere.

Forse è per questo che oggi, nel metaverso come nella realtà, continuo a cercare spazi di riflessione e confronto. Perché quella scintilla, accesa da un professore in un’aula del liceo, non si è mai davvero spenta.

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